«mais che dice Molly?»
2023

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FERRON Catherine
Journées d'études

 

Joyce et Nora: una vera coppia?

«mais che dice Molly?»

Catherine Ferron

 

Grazie di questo invito inaspettato…

Allora vi propongo una notte con Molly, notte che segue una giornata di erranza di Bloom attraverso Dublino tra commissioni e fatti che gli capitano durante il suo periplo, di Bloom che si autorizza per iscritto a farci condividere i più intimi pensieri della moglie che lo aspetta, forse.

Lei sdraiata/seduta nella notte accanto a lui già addormentato con la testa ai piedi, come in un certo tempo della vera vita di Joyce e Nora; lo spazio e la temporalità che li separavano li riunisce infine nel letto in cui la posizione capovolta fa torsione, è il luogo stesso di un nastro di Möbius in cui ognuno ha il suo bordo che crede unico poiché ognuno ha il suo intreccio di fili annodati borroneamente e dunque ognuno stringe il suo oggetto tramite i suoi piaceri, quello dei sensi, quello fallico e quello dell’Altro. Ovviamente qui la maestria è di Joyce, un uomo, che scrive, che parla per lei, al posto di una donna, un uomo che parla una donna che parla in un lungo monologo un «flusso di coscienza» della sua intimità a questa donna. «Il mio libro è l’epopea del corpo umano… vive, si muove nello spazio, è la dimora di una persona umana completa. Le parole che scrivo sono adatte a esprimere una delle sue funzioni, poi un’altra… se non avessero corpo non avrebbero spirito… è un tutto», dice a Frank Budgen, amico e biografo con cui parla della creazione di Ulisse.

Joyce ha ritrovato un pacco di lettere lasciate/dimenticate/perdute in uno dei numerosi traslochi, in una cartella, in un’altra città, e chiede a un amico di portargli, senza aprirla, quella cartella che contiene le lettere di Nora scritte su sua richiesta durante le loro due separazioni; lettere dall’erotismo scatenato, utili alla masturbazione in vece del rapporto carnale. Questa corrispondenza gli è servita per terminare il viaggio di Ulisse/Bloom.

Il titolo di quest’ultimo episodio ci è dato dai suoi appunti di lavoro, ma non appena si consulta qualche commentatore, all’inizio si è totalmente disorientati; qualche chiave nella sua corrispondenza, nelle conversazioni con i suoi amici, ci permette di vederci un po’ chiaro; quest’ultimo episodio, il diciottesimo, corrisponde al ritorno di Ulisse in patria, quello in cui Omero fa ritrovare dopo dieci anni di assenza, forse pure venti, in ogni caso diciotto ore per Bloom, il marito e la moglie che lo aspettava – forse, ribadiamo…

Abbiamo dunque circa mille pagine per lui, Ulisse, 150 per Molly, vedete è un rapporto…

Allora perché e come mi sono imbarcata in questo letto? Ero andata a vedere Molly interpretata da Anouk Grimberg, alle Bouffes du Nord. Con i miei amici probabilmente non eravamo alla distanza giusta: seduti in prima fila, non abbiamo sentito quasi niente… il leggero difetto di articolazione dell’attrice non ha ostacolato la melodia del filo conduttore… dopo tutto perché no? La Molly di Joyce motteggia, canta e ogni tanto addirittura fischia. Insomma, «le mâle était fait» [‘il male/maschio era fatto’]. La curiosità mi ha spinta a leggere: ho cominciato Ulisse dalla fine… dopo tutto non partecipavo al viaggio… un letto al centro della scena opera ostentatamente… Vi andremo a leggere tutto ciò che un uomo può far dire a una donna attraverso il suo fantasma: la sua ossessione del sessuale.

Questa donna in questo letto è dunque Molly Bloom, è il suo nome da sposata.

Da dove le viene il nome Molly che compare in altri momenti del libro ma la cui immagine è sempre presente nella testa di Pold (nome di Bloom), quest’uomo che alla fine riesce ad arrivare, malgrado incontri in cui la morte è a ogni approdo portuario. Veniamo a sapere che l’eroe greco è stato aiutato dagli dei: il moly è la pianta data da Ermes a Ulisse per sconfiggere Circe, ossia per non essere trasformato in maiale come gli altri uomini, e sfuggire così alla bestialità. Vedete da che dipende l’umanità, da una pianta che sembra aglio e che potrebbe essere il bucaneve dalle particolari proprietà medicinali.

Ma in realtà è un soprannome, perché lei si chiama Marion e tutti la chiamano Molly. Quanto al cognome che porta, ella lo interroga durante la sua ora di veglia: a proposito di « sulle ragazze che ora vanno in bici e indossano berretti a visiera e i bloomer da donna nuova… Dio dagli un po’ di cervello e a me qualche soldo», soliloquia lei, «in più magari si chiamano così per via del suo nome chi poteva immaginarselo che finivo per chiamarmi Bloom quando lo scrivevo in stampatello per vedere che effetto faceva su un biglietto da visita o a fare le prove per il macellaio e riconoscente M Bloom sei in fiore». In inglese bloom: fiore, fioritura, sbocciatura…

Siamo stupiti dalla ricchezza di quest’ultimo episodio, termine sul quale insiste Joyce: dal greco EPI che è un preverbo e una preposizione anch’essa ricchissima, perché significa: su, verso, durante, al tempo di, dopo, inoltre: indica una posizione, una direzione, la nozione del tempo, e una progressione nel senso che si vuole…

Significa punta, spina, forse quella nel piede di Joyce… (in senso figurato, certo… perché in nessun momento dimentico che sono una donna che legge Joyce che parla al posto di una donna… e sono un po’ combattuta…).

E poi, sul versante del discorso episodio è un accessorio; è la parte del dramma tra due entrate del coro, un incidente, una digressione, è l’azione di introdursi, e hodos: è il cammino, la via, il mezzo. Il mezzo d’introdursi. Un’azione accessoria attaccata all’azione principale, lo sentirete dallo stesso Joyce.

Scrive in una lettera al già citato F. Budgen, l’amico di Zurigo con cui Joyce parla del suo lavoro scrivendo Ulisse: «Penelope è il clou del libro. La prima frase contiene 2.500 parole. Ci sono 8 frasi di lunghezza diversa», come anche di tonalità diversa poiché la terza delle 3 pagine è talvolta evitata da commentatori e commentatrici tanto è oscena. Prosegue:

«Questo episodio comincia e finisce con “la parola femmina: sì”. Ruota come l’enorme globo terrestre lentamente, sicuramente e uniformemente, si dipana e ridipana, i suoi quattro punti cardinali sono i seni, il culo, l’utero e la vagina espressi dalle parole: Because, bottom (il fondo in tutti i sensi, fondo del crogiolo, ultimo della classe, basso-fondo, fondo del cuore), Woman, yes. Benché probabilmente più oscena di tutti i precedenti, Penelope sembra essere la perfettamente sana piena amorale fertilizzabile falsa sottile limitata prudente indifferente Weib. «Ich bin das Fleisch das stets bejaht ». (4) F.B «sono la carne che dice sempre sì».

 

Che le fa dire in questo letto accanto a quest’uomo che è appena rientrato e dorme? Siamo noi, ci dice Joyce, «il babling di una donna» svegliata dal ritorno del marito e, vista l’ora, non esattamente pronta a riprendere sonno… In inglese bable vuol dire brusio, chiacchiericcio, mormorio (di un ruscello); è anche la chiacchiera che fa sfuggire pettegolezzi, segreti; Molly apre il suo discorso con un «Sì perché non l’ha mai fatta una cosa come chiedere la colazione a letto con un paio d’uova» e un flusso di sensazioni, di reminiscenze, di a parte, si avvia, formando una rete aparolante fatta di diversi brandelli che si ritrovano in ognuna delle 8 frasi un po’ diversamente sfasate, ma che formeranno un intreccio, intreccerranno più fili perché constatiamo che tutti i momenti della giornata percorsi da Bloom si ritrovano nell’intreccio, filo d’Arianna che formerà un tessuto solo perché è lui, Joyce, che scrive, che ordisce la storia; lei parla a vanvera? Lei parla a se stessa, parla a lui, parla agli altri, ride, accusa, prende in giro se stessa, guarda la sua condizione di donna con una modernità e un aspro senso dell’umorismo; è un discorso intimissimo ma abilmente diretto come lo si può vedere. Dunque è notte ed è una donna, allora la sintassi come nel sogno è quella di una lingua diurna in cui le articolazioni logiche, la grammatica, le parole mancano talvolta, oppure la frase si arresta o prosegue in quella successiva con le maiuscole o meno, come capita, con fantasia e non funziona tanto male…

Da un sì «so bene da dove vieni» di una donna carnalmente trascurata da 10 anni, fatalista in qualche modo, risaliamo al sì «voglio sposarti» della giovane donna piena di desideri e d’appetito sensuale degli inizi della vita di coppia. Vi è dunque un percorso a catena, a spirale ascendente, di tutta una vita, di tutti i giorni, in una sorta di movimento di retroazione, di regressione, di risalita verso quel primo momento, quel primo giorno dell’incontro con Nora il 16 giugno 1904 di cui come sapete Joyce fa il primo giorno della scrittura di Ulisse che in realtà non comincia che nel 1914.

Il testo si svolge donque sugli assi dei 4 punti cardinali già citati: seni, culo, utero, vagina o sesso secondo i traduttori associati rispettivamente ai 4 significanti eterogenei, ricordiamoli: because, articolazione logica; bottom, luogo; woman, stato di un genere umano; yes, semplice vocabolo della lingua, accondiscendenza, molto passe-partout potremmo dire; questi punti cardinali così doppiati sottilmente da locuzioni assolutamente banali ma tra le più usate della lingua saranno il punto di partenza di 4 brandelli che si avvolgeranno a spirale attorno al fuso della tessitrice, accavallandosi in modo apparentemente disordinato ma proseguendo il cammino fino alla fine del testo condotto dal quel sì inclassificabile.

Che rapporto tra seni e because? sono forse la doppia causa, i due seni nutritizi fornitori del latte e del desiderio che Molly guarda, mette alla prova, mette in scena, dà da poppare?

Bottom e culo: il fondo in tutti i sensi, insiste Joyce con la volontà fantasmatica di conferire crudità agli oggetti del desiderio.

Donna e utero: la riproduttrice di cui dice nelle parole di Molly «sì perché una

donna qualunque cosa fa lo sa dove fermarsi senza di noi loro al mondo non ci starebbero»…

E infine yes. Quel di cui Joyce dice sempre secondo F. Budgen che lo ha trovato in un dormiveglia un giorno ascoltando parlare la moglie con un’amica che punteggiava tutte le frasi della conversazione con un sì… quel sì che conosciamo bene noi analisti: apre alla libertà di parola, alla vita, è il sì della Bejahung di Freud subito seguito da un no, è il sì dell’operazione della Verneinung, è il sì dell’inconscio che non conosce la negazione; Joyce lascia quest’ultima parola a Molly, chiudendo così la sua Odissea con un’apertura con quel sì di cui dice « I had saught to end with the least forceful word I could possibly find… which denotes acquiescence, self-abandon, relaxation, the end of all resistance » [‘avevo pensato di finire con la più piccola potentissima parola che potessi trovare… che denotasse l’acquiescenza, l’abbandono di sé, il rilassamento, la fine di ogni resistenza] probabilmente ciò che chiama il «sì femmina». Il sì performativo che fa atto, atto di scrittura e se ci si interessa alla vita di Nora corrisponde a una grande libertà di vita. Aggiungiamo con Philippe Sollers che «se fa dire sì a una donna è certo perché ne ha sperimentato tutti i no possibili». Balbettando a mia volta mormoro «esiste un sì maschio»?

Ogni brandello cardinale è fatto di brandelli secondari il cui ordine è dato dall’associazione di idee e frasi incidenti (Joyce conosceva bene la tecnica analitica di Freud) : brandello della donna tradita, quello della donna infedele, della madre di un’adolescente, quello del lutto di un figlio, della confessione cristiana, delle amiche gelose, di Gibilterra del suo scoglio e del tuono e della sua gioventù, delle sue domestiche provocanti, dei vestiti che fanno un bel didietro, della biancheria colorata, delle giarrettiere e del gioco della campana; brandello del denaro e della mancanza di denaro, della lista della spesa, degli amanti passati e presenti; brandello del marito che lei malgrado tutto preferisce; il brandello delle lettere d’amore, quello degli organi sessuali maschili, «noi, dice, siamo un buco…» … «è la bellezza», brandello della relazione sessuale in tutta impudicizia, brandello dei fiori, dei vestiti, del greco; questi fili infiniti liberano un’energia che non ha niente di passivo e la cui mancanza di punteggiatura produce una velocità di elocuzione, di lettura, che dà raramente modo di riprendere fiato…

Ho cercato di dare un titolo ad alcuni brandelli di queste 8 frasi per tentare di ritrovarmi un po’ nel «casino» potremmo dire perché in effetti i 4 punti cardinali si ritrovano in tutte le pagine e polarizzano il soliloquio doppiati dai loro corrispondenti significanti “come si deve”:

– un brandello di recriminazioni, «una rovina per qualunque donna e nessuna soddisfazione poi a fare finta che ti piace finché lui non viene e poi finire da sola comunque e ti fa cascare le braccia però è fatta ora finalmente è finita nonostante tutte le chiacchiere del mondo è solo la prima volta dopo quella diventa normale farlo»

– lo sguardo grande maestro dei giochi sessuali «stava là a supplicarmi di dargli un pezzettino delle mie mutande quella sera venendo da Kenilworth square m’ha baciato l’occhiello del guanto e me lo sono dovuto togliere»

– il sessuale nella sua crudezza: la famosa terza frase che persino Valéry Larbaud omette di leggere nella sua prima lettura pubblica alla libreria di S. Beach, e anche io evito…

– la differenza d’oggetto «per loro è tutto facile ma per una donna non appena diventi vecchia sei da buttare nella spazzatura»,

– il nome di Bloom citato a inizio articolo con i bloomer, i pantaloni a sbuffo «da donna nuova Dio dagli un po’ di cervello e a me qualche soldo in più magari si chiamano così per via del suo nome chi poteva immaginarselo che finivo per chiamarmi Bloom quando lo scrivevo in stampatello»,

– le città attraversate d’incontri «viaggi che fanno quegli uomini fino all’altro capo del mondo e indietro è il minimo che gli può capitare di dare una strapazzatina a una donna o due finché possono»,

i limiti «di fronte a me che parlava di Spinoza e compagnia bella sarà morto mi sa almeno un milione d’anni fa […] una macchia sul letto così sanno che sei la loro vergine questo gli importa che idioti che sono magari sei vedova o divorziata 40 volte e basta una macchiolina di inchiostro rosso»

– i fantasmi «per lui sono gli occhi miei se è anche poco un poeta Due occhi tanto scuri chiari come una stella d’amore che belle parole Come dell’amor la giovin stella sarebbe un cambiamento Dio solo sa avere una persona intelligente con cui parlare di te stessa e non sempre e solo stare ad ascoltare lui e la pubblicità»

– un uomo vale un altro «è per questo che mi piaceva perché vedevo che capiva o sentiva quello che è una donna e sapevo che lo potevo raggirare quando mi pareva e gli ho dato tutto il piacere possibile per spingerlo finché non mi ha chiesto di dire sì»

Come uscire da queste 158 pagine di stupro e di lucro quotidiani… Forse con Omero innanzitutto.

Del suo ultimo episodio Joyce scrive: quel sì che si dipana e ridipana e ci orienta verso Penelope che tutte le notti disfaceva ciò che tesseva di giorno per far allungare il tempo. Se pensiamo: Molly è una donna che parla, infatti dipana un monologo, un filo come quello di Arianna di cui J. Scheid e J. Svenbro in Le métier de Zéus ci hanno detto rappresentare lo sperma; un filo destinato a svolgere la funzione maschio; avvolto a gomitolo costituisce una figura a spirale analoga al «turbine» del labirinto stesso; ricordiamoci che Penelope è la nipote di Dedalo e che svolgendo il suo filo costituisce la struttura del labirinto… svolto da Joyce; la scelta si situa tra il filo e il lasciar filare… è lui che scrive no? Da parte greca e da parte romana il tessuto è matrimonio, tessuto metaforico, texte la cui lettera centrale X raffigura la tessitura dei capovolgimenti borromei. In Ouvrages de dames (Ariane, Hélène, Pénélope), F. Frontisi Ducroux parla dell’astuzia delle donne: «la donna più intelligente è quella che sa sovvertire i tessuti»; Molly risale nel tempo lungo giri, rigiri, ritorni: avvolge le sue astuzie, avvolge la sua guerra di donna per svolgerla fino al ritorno della domanda di matrimonio tanto attesa.

Ma l’astuzia di Joyce che tesse con l’astuzia di Molly è, in questo episodio, l’eliminazione del taglio, della punteggiatura, il respiro è turbato, per eludere una sintassi e far proliferare i sensi: nessuna invenzione di parole in Molly; ci sa fare con l’astuzia dell’altro, confonde le piste: con lui sdraiato e muto in quel letto, lei seduta si attiva nella torsione da lui stesso dettata: legge e annoda il libro che si scrive; tutti gli episodi di Ulisse si ritrovano per il finale, tutti i fili tirati da Bloom nel suo viaggio di 18 ore si intrecciano in Molly/Penelope, tutti i brandelli con-vergono per fare del plurale un singolare, un rapporto sessuale riuscito forse quanto a Joyce? ma forse anche per Nora.

Chiudere forse anche con la musica. Joyce intendeva far recitare Molly, che ogni tanto andava in scena al teatro di Dublino; così il testo sarebbe stato detto ad alta voce, altro tessuto tra scrittura e lettura, scrittura e voce, ricerca della lettera nel suo littoral; quel tanto venerato “sì” formato da vocali che nel canto danno la bellezza del suono. Joyce ascoltava le melodie di Moore e molta opera italiana. R. Ellman ci ricorda la sua pronuncia stupefacente di precisione e slancio enfatico nelle registrazioni ma di un timbro particolarissimo perché la sua voce era rimasta prepuberale. In Ulisse gli effetti vocali sono lavorati a effetti di scrittura, il che permette a Lacan di dire che «La sapienza dello scrittore fa la differenza tra “la significanza in quanto scritta e gli effetti di fonazione”».

Boulez a tal proposito ha citato Joyce (che ha letto in versione originale) in Points de repères. «La logica e la coesione di questa prodigiosa tecnica sempre vigile suscita universi in espansione: si può giocare sull’ambiguità della parola in quanto oggetto utilitario e segno di riflessione. Vi è la recente nozione di labirinto introdotta nella creazione… il testo vi diventa anonimo: parla di se stesso e senza voce d’autore». Grazie a lui, dice, «ho scritto la mia prima sonata: que me veux-tu».

Per concludere non saprei dare un nome alla tecnica letteraria utilizzata per Molly, forse quella che nasconde il fatto stesso che ne è una…

Come riprendersi dalla ravagerie di Joyce che ha seguito la sua lettera litorale e ce la rivolge pubblicamente? Lacan, che non era un romanziere, ci aiuta: «È una scrittura della donna, dunque dell’impossibile».

Nora era Molly? Quando le si faceva la domanda, Nora rispondeva: «no, lei era molto più grassa» (B. Maddox). E non ha voluto leggere Ulisse… Concluderò dunque rivolgendomi ai collezionisti di imprecazioni come era Joyce e per eccitare i vostri neuroni se ce ne fosse ancora bisogno, lasciandovi un, ben noto ai canadesi…. Tabernacle!

(cognome di famiglia di Nora Barnacle per i non iniziati)

 

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