“Qualche notazione a margine sul seminario di Lacan –Gli scritti tecnici di Freud- attraverso il caso dell’Uomo dei Lupi”
18 août 2016

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PINUNTO Patrizia
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Torino, sabato 14 maggio 2016

Il primo e l’ultimo

Patrizia Piunti


Per questa giornata ho cercato di proporre una rilettura del seminario di Lacan “Gli scritti tecnici di Freud” alla luce di un tema ricorrente nel testo stesso, che rappresenta in qualche modo un filo conduttore per l’intero percorso del libro, ossia il caso dell’Uomo dei lupi.

Si tratta, in breve, di un paziente di Freud, la cui analisi è stata riportata nell’opera “Dalla storia di una nevrosi infantile- caso clinico dell’uomo dei lupi (1914)” e su cui lo stesso Freud ha continuato a scrivere a più riprese (fino all’ed. definitiva del 1924), dato l’interesse che gli suscitavano le sue vicende, tanto da farlo definire dall’autore come “ un pezzo di psicanalisi”.

L’analisi che lo riguarda, al di là dei suoi travagliati percorsi di vita e della sua tormentata psicopatologia, viene incentrata da Freud sui ripetuti “sogni dei lupi” . Il paziente infatti riferisce che, all’età di circa quattro anni, ha sognato di trovarsi nel suo letto mentre di fronte a lui la finestra si apriva da sola e comparivano alcuni lupi bianchi che erano seduti sui rami di un grosso albero di noci e che lo fissavano. In questo racconto Freud pensa di poter individuare la rielaborazione della scena primaria e tende a trattare il paziente come in preda ad una “crisi di nevrosi ossessiva” (pag. 495- Opere- vol 7).

L’altro aspetto che compare nel resoconto sul caso, anche se in maniera più marginale, è un episodio riferito dal paziente all’età di cinque anni, quando “si accorge all’improvviso di essersi tagliato il mignolo della mano in modo che stava appeso solo per la pelle”, provando molta angoscia, ma senza alcun dolore. Poco dopo “guardò il dito e vide che non era minimamente ferito”. Anche questo tema viene riferito da Freud, sempre nell’ambito di una nevrosi ossessiva, ad aspetti relativi alla tematica dell’Edipo ed a quella della castrazione.

Per quanto riguarda in particolare l’analisi di questo caso all’interno del seminario sugli Scritti Tecnici, si è trattato, da parte mia, di una specie di traversata sulla scia di come Lacan se ne serve sia per supportare la sua scelta di percorso, sia per indicarne gli ostacoli ed i possibili misconoscimenti.

Non ho potuto naturalmente approfondire tutte le tematiche esposte dato che ognuna segue un suo particolare tragitto nell’ambito dello stesso seminario, anche se la citazione del caso compare ripetutamente, persino nella lezione conclusiva.

Mi è sembrato invece interessante, in particolare, focalizzare l’attenzione sull’accento dato dallo stesso Lacan ad uno dei temi relativi al caso in esame, ossia alla controversa questione dell’ “allucinazione del dito tagliato”, differenziandosi in tal senso dalla lettura psicanalitica proposta più frequentemente e da lui stesso già presa in esame in un suo lavoro precedente (1952-53), cioè quella incentrata prevalentemente sulla scena del sogno dei lupi.

A tale proposito penso che l’opera di Lacan, come pure quella di Freud, non finisca mai di sorprenderci, anche quando sembra rivolgersi a tematiche note e date troppo spesso per scontate, mentre potrebbero risultare ancora basilari per diverse argomentazioni relative al nostro stesso operare nel campo delle relazioni umane, soprattutto in quanto analisti.

Cercando di procedere con un certo ordine, se non altro cronologico, ho pensato di individuare in particolare alcuni momenti in cui il caso dell’”Uomo dei lupi” viene citato nel seminario.

Così già nella lezione del 13 gennaio 1954 lo troviamo chiamato in causa per la prima volta, in quanto “opera centrale della psicanalisi”, in riferimento al valore della ricostruzione del passato in un soggetto in analisi. Questo permette di far dire a Lacan che: “in fin dei conti, da come ne parla Freud, il fatto che il soggetto riviva , si rammenti, nel senso intuitivo del termine, degli eventi formativi della sua esistenza, non è di per sé così importante”. Più avanti aggiunge che Freud arriva a dire :”dopo tutto gli stessi ricordi di copertura sono dei rappresentanti del tutto soddisfacenti di ciò di cui si tratta”(facendo qui riferimento al sogno delle scena primaria nell’Uomo dei lupi). Prendono così avvio le sue prime osservazioni sull’andamento di un’analisi riguardo il rapporto con la storia stessa del soggetto attraverso le proprie reminiscenze.

Proseguendo, nella lezione del 27 gennaio 1954 il caso viene nuovamente citato a proposito dei primi anni in cui Freud affronta il tema della rimozione (1915- articolo sulla Metapsicologia), ponendosi la questione, come dice Lacan, se quello che è stato originariamente rimosso non sia “sempre e ancora il passato, un passato che deve essere restituito e di cui noi non possiamo fare altrimenti che rievocare ancora una volta i problemi e l’ambiguità che suscita per quanto riguarda la sua definizione, la sua natura e la sua funzione”.

A questo punto Lacan riprende ancora una volta il caso medesimo per rievocare un periodo del lavoro di Freud al riguardo ed in particolare quello in cui viene posta la questione del “trauma”, sottolineandone l’ambiguità nel suo aspetto di evento, in quanto “appare in tutta la sua evidenza clinica che l’aspetto fantasmatico del trauma è infinitamente più importante”.

A tale proposito Lacan richiama un suo seminario precedente (1952-53) in cui, sempre relativamente all’Uomo dei lupi, aveva sviluppato più ampiamente questo tema. In particolare sottolinea che non si può sapere con esattezza quello che questi ha visto , mentre “non può che averlo visto in quella data precisa e non un anno più tardi” dato che “l’importante può essere definito solo attraverso la prospettiva della storia e del riconoscimento”, in quanto è questo che conta per il soggetto.

Siamo così entrati in una delle problematiche più dibattute anche nella psicanalisi contemporanea, ossia alle questioni sul valore da attribuire al trauma ed alle sue conseguenze. Lacan riprenderà più volte in seguito questo tema, come, per es., nel suo seminario del 1964 “I quattro concetti fondamentali della psicanalisi” affrontando la nozione di “sogni traumatici”. Qui, come scrive Tyszler “qualche cosa si ripete più volte, ma senza inventare niente di nuovo, come è proprio della nozione di ripetizione…un reale ritorna sempre allo stesso posto e si fa sentire”(da “Freud e il traumatismo”- Journal Francais de Psychiatrie-n°36) .

Volendo restare comunque negli anni del nostro seminario, vediamo ora anche l’accentuazione data alla singolarità del processo analitico stesso, in quanto ne viene sottolineato l’aspetto di “verità” per il soggetto, ossia qualcosa che deriva da un’ “esperienza in prima persona” (pag. 521 degli Annexe II). Questa sembra per Lacan un’occasione per interrogarsi (e interrogare noi) sulle caratteristiche stesse della psicanalisi e sui suoi sviluppi o esiti. Tornerà poi a riesaminare questo stesso tema anche molti anni dopo, con modalità diverse, per es. affrontando la questione della “fine dell’analisi”: L’analisi non consiste nell’essere liberato dai propri sinthomi, scritto con l’h. L’analisi consiste nel sapere perché uno vi è così invischiato…anche se, come aggiunge poi, questo non basta in quanto tutto ciò sarebbe troppo legato ad un sapere…parola che occorre evitare” (pag. 34 del “Le moment de conclure”).

Procedendo nel seminario troviamo di nuovo un riferimento al nostro caso, quando Lacan si cimenta sulla questione del complesso di castrazione e sulla differenza tra rimozione e forclusione (su cui si inserisce l’intervento di J. Hyppolite del 3 febbraio 54). Qui il tema viene affrontato muovendosi su un terreno molto scivoloso, anche per le caratteristiche diagnostiche del caso medesimo. Sembra quasi che Lacan l’abbia scelto per lasciarci in una certa empasse, una delle tante che ci coinvolgono nella lettura dei suoi seminari. In questo caso è Lacan stesso che ci introduce in un difficile problema nosologico, in quanto tale risulta essere stato anche in passato, sia prima che dopo l’analisi con Freud.

Già nel suo seminario precedente il tema della diagnosi era stato trattato in quanto (Ibidem-pag.519 degli Annexe II), dice Lacan , il problema dell’Uomo dei lupi era “rappresentato da un qualche disturbo nevrotico che era stato qualificato, prima che Freud lo vedesse, come uno stato maniaco-depressivo”, mentre per Freud si trattava di “uno stato che segue la guarigione spontanea di una nevrosi ossessiva”. “Dopo l’analisi con Freud, continua Lacan , questo personaggio ha manifestato un comportamento psicotico”. In aggiunta a tutto ciò Lacan rileva che quest’uomo “ha rappresentato (per Freud stesso) un modello” e che “tutta la sua storia deve essere vista e collocata in questo contesto”. Per di più occorre considerare che Freud ha pubblicato l’Uomo dei lupi come la storia di una nevrosi infantile, concentrando la sua attenzione sull’”esistenza o la non esistenza di eventi traumatici nella prima infanzia” (aspetto su cui Lacan avrà modo di tornare più volte nel corso di questo suo lavoro).

Siamo quindi di fronte ad una molteplicità di temi che in questa parte del seminario sembrano prevalentemente convogliati su un’elaborazione innovativa da parte di Lacan della teoria sull’allucinazione, che sarà ulteriormente sviluppata nel seminario sulle psicosi.

Qui viene sostenuto in particolare che per molto tempo “l’allucinazione è stata considerata come una sorta di fenomeno critico attorno al quale si poneva la questione del valore discriminativo della coscienza: non poteva essere la coscienza ad essere allucinata, ma si trattava d’altro“(pag. 117 sem). Su questo punto Lacan stesso individua i suoi principali ispiratori sia nell’opera di Merleau- Ponty (autore di un testo sulla fenomenologia della percezione, 1945), sia negli insegnamenti di De Clérambault sull’automatismo mentale (v.pag.117 del sem. Scritti tecnici). La questione dell’Uomo dei lupi sembra offrirgli lo spunto per introdurre il tema della “non-Bejahung” e quindi della situazione in cui si trova questo paziente. In altre parole, tutto avviene “come se per lui il piano genitale non esistesse affatto”(v.pag 118 sem.). Aggiunge quindi che in questo modo assistiamo all’emergenza “non tanto all’interno della sua storia, ma veramente nel mondo esterno, di una piccola allucinazione. La castrazione, che è precisamente ciò che per lui non è mai esistita, si manifesta al soggetto nella forma di ciò che egli si immagina : l’essersi tagliato il dito mignolo così profondamente che non è più trattenuto se non da un piccolo lembo di pelle. Egli viene allora sommerso dalla sensazione di una catastrofe tanto inesprimibile che non osa parlarne neppure con la persona che gli sta vicino cui riferisce tutte le sue emozioni…come se questa fosse annullata in quel momento. Non c’è più un altro, c’è come un mondo esterno immediato, delle manifestazioni percepite come una specie di reale primitivo, un reale non simbolizzato, malgrado la forma simbolica, nel senso comune del termine, assunta da questo fenomeno : quello che non è riconosciuto è visto”.

A questo punto Lacan ci spiazza con un’altra questione : “per spiegarmi meglio credo che (il paziente) non sia del tutto psicotico al momento in cui ha quest’allucinazione, ma potrà essere psicotico più tardi, ma non al momento in cui ha questo vissuto assolutamente limitato, nodale, estraneo all’esperienza della sua infanzia, per nulla dissociato, senza alcun elemento che permetta di classificarlo come schizofrenico già durante l’infanzia. Si tratta comunque di un fenomeno di psicosi (pag. 119 sem.)”. In altri termini, potremmo aggiungere,abbiamo a che fare in ogni caso con fenomeno proprio della psicosi, anche se il paziente non ne ha manifestati altri, sino a quel momento.

La sua assertività a questo riguardo appare un po’ ambigua nella terminologia adottata, cosa di cui Lacan doveva essere senz’altro consapevole. Dato che si tratta di un fenomeno di psicosi, nei termini in cui ne parla lo stesso Lacan, dovremmo forse meglio dire che il paziente è psicotico, ma non ha ancora manifestazioni deliranti (come invece avverrà più tardi). Qui comunque la terminologia adottata ci sembra orientata a sviluppare ulteriori e diversi aspetti, di cui alcuni già trattati in parte nel corso di questo seminario (es. attraverso l’intervento di J. Hyppolite) ed altri suggeriti o avviati per un lavoro successivo che intende, almeno in questa fase, dissociarsi da svariate teorie psicanalitiche post o anti freudiane (come, per es. quelle junghiane).

Vorrei qui solo accennare ad alcune questioni emergenti in particolare nella lezione del 10 febbraio, dato che il caso su cui si sofferma Lacan, oltre ad essere stato ampiamente trattato da Freud, sarà seguito anche nel corso della sua evoluzione successiva, considerato che poi sarà in cura con una sua allieva, Ruth Mack Brunwick, che ne offrirà un ampio resoconto. Ne troviamo inoltre ulteriori tracce nella storia della psicanalisi anche attraverso una successiva autobiografia dello stesso Uomo dei lupi , che però non sembra abbia svolto, se non in minima parte, la stessa funzione pacificatrice delle Memorie di Schreber, forse anche in considerazione delle dovute differenze storiche e psicopatologiche. Alcuni capitoli di questo suo scritto, insieme ad un ulteriore resoconto della sua analisi, sono stati pubblicati negli anni ‘70 dalla psicanalista americana Muriel Gardiner. Attraverso tutte queste testimonianze possiamo rilevare soprattutto l’attenzione e direi quasi la passione riservatagli dallo stesso Freud per tutto il corso del trattamento e per l’intero arco della sua esistenza.

Nella lezione del 10 feb. 54, quindi, Lacan (10 feb.54), rivelando in particolare il suo debito nei confronti di De Clérambault ( di cui cita la teoria dell’automatismo mentale, poco sviluppata nella storia della psichiatria ad eccezione di alcuni studi più recenti), tende ad analizzare l’emergenza di questa particolare forma di allucinazione come un fenomeno elementare, quindi proprio della psicosi, anche se, come ci insegna lo stesso De Clérambault, non necessariamente indice di una progressione successiva a carattere ulteriormente allucinatorio, se non addirittura delirante. Ma qui non sembra che Lacan voglia cimentarsi in una difficile diagnosi differenziale, tanto più che a posteriori, anche attraverso la sua lezione degli anni precedenti (1952-53), sappiamo che nel caso specifico l’evoluzione è stata verso una forma paranoica con delirio di persecuzione e di grandezza (come ci dice anche la Brunswick), sulla cui instaurazione Lacan stesso (come anche Freud, seppure in forma diversa) è indotto a sottolineare l’importanza del transfert, aspetto su cui tornerà in particolare anche al termine del seminario sugli Scritti Tecnici.

Questa lezione, quindi, al di là dell’omaggio al suo maestro, gli offre l’occasione di introdurre il difficile tema della forclusione, passando attraverso un’attenta disanima della questione già posta da Freud e collegandosi alla grande tradizione filosofica riguardo il rapporto soggetto-oggetto, nonché a quanto poi molto dibattuto in campo psicanalitico relativamente all’ “opposizione intellettuale/affettivo”(pag.116 sem.): ”l’affettivo non è qualcosa con una densità speciale che mancherà all’elaborazione intellettuale. Non si tratta di un mitico al di là della produzione del simbolo…”

Lacan riprende qui l’uso del termine hegeliano di Aufhebung, (parola che contiene in sé l’idea di “conservare nella soppressione, sollevare”, ma non quello di “negare o sopprimere”, (pag. 125 –lez. 17 feb. 1954), come già utilizzato da Freud a proposito della denegazione (tradotta così da Hyppolite al posto di “negazione”) che pertanto può essere definita come “un Aufhebung della rimozione, ma non per questo un ‘accettazione del rimosso “. Per chiarirlo aggiunge : “chi parla dice: ecco ciò che non sono”(Scritti- pag.887), introducendoci così, sempre attraverso l’intervento di J.Hyppolite, alla complessa questione della Bejahung, in quanto prima modalità di simbolizzazione.

Già Freud aveva individuato con il termine “rigetto” (Verwerfung) un meccanismo distinto da quello della rimozione proprio della nevrosi. Nel primo caso, infatti, ciò che è rigettato non può più tornare al luogo da cui è stato escluso, mentre nella rimozione avviene un ritorno del rimosso al luogo d’origine, ossia il simbolico da cui era stato ammesso in principio. Si tratta quindi di qualcosa che verte sull’ambito del significante. In particolare nel caso dell’Uomo dei lupi Freud afferma che: ”nessun giudizio fu formulato circa l’esistenza della castrazione, ma si fece semplicemente conto che essa non esistesse”.

A proposito di quest’ultimo tema ho trovato interessante quanto introdotto da J.Marc Faucher nel suo libro sull’automatismo mentale (Ed.Eres-2011) in cui, proprio in riferimento all’esperienza dell’Uomo dei lupi, (pag.36-37- ibidem) cita il momento “di eclisse soggettiva che compare quando gli si presenta una significazione che, in assenza di un’assunzione preliminare nel campo del simbolico, non può essere integrata nel campo della realtà”. ”La nozione di una tappa preliminare necessaria a qualsiasi recezione possibile per un soggetto di ciò che si iscrive nel campo della realtà induce Lacan a porre l’accento su quell’anteriorità riconosciuta da Freud al giudizio di attribuzione rispetto a ciò che chiama giudizio d’esistenza”. Tutto questo lo porta inoltre ad ”affiancare all’esercizio di questo giudizio di attribuzione quello della Bejahung (affermazione), legame che non era invece così presente in Freud”. Questo passaggio permette a Lacan di “distinguere la denegazione dalla forclusione”, mentre il testo di Freud si prestava ancora al rischio di una certa confusione, dato che quest’ultimo utilizzava il termine di Verwerfung “per indicare il rigetto all’opera nella denegazione in un paziente nevrotico ossessivo”. Lacan, quindi, “oppone non tanto Bejahung (affermazione) e Verneinung (negazione), ma Bejahung e Verwerfung (forclusione). Tutto ciò suppone che la prima trascrizione di una percezione avvenga proprio al tempo del giudizio di attribuzione” di cui troviamo traccia, continua Faucher, “nella lettera 52 a Fliess”.

La questione ci porterebbe ancora lontano, ma penso che questi accenni possano rappresentare delle utili premesse (come le introduce lo stesso Lacan) all’analisi del caso così come è affrontato nel seminario.

Infine più avanti (lez.17 feb.) aggiungerà, chiosando in un certo senso il discorso sviluppato fino qui : “il reale, o quello che è percepito come reale, come vi ho fatto notare nella genesi dell’allucinazione dell’Uomo del lupi, insomma il reale è qualcosa che resiste in modo assoluto alla simbolizzazione…e questo corrisponde ad una tappa della vita dell’Uomo dei lupi : la simbolizzazione, la realizzazione del senso sul piano genitale è stato verworfen , (qui Lacan usa ancora il termine tedesco) come vi ho già fatto notare” (pag.133).

Quest’aspetto offre a Lacan l’occasione per intervenire su certe modalità di lavoro analitico, così come utilizzate in particolare da M. Klein, che vertono sull’”interpretazione del contenuto” operando anche una distinzione piuttosto problematica, quando dice che nel caso della Klein ci troviamo di fronte ad un “Aufhebung della rimozione e non di una sparizione di questa stessa rimozione”, contrapposto al piano della “negazione e della negazione di negazione”.

L’accento posto da Lacan al fenomeno allucinatorio, come ho già ricordato, è comunque erede di una tradizione psichiatrica cui l’autore faceva comunque riferimento, per quanto l’esempio utilizzato non sia dei più paradigmatici, proprio per l’ambiguità mantenuta da Lacan stesso sulle caratteristiche di struttura del paziente. Paradossalmente proprio questa problematicità insita nel fenomeno potrebbe richiamarci gli studi, oltre che dello stesso De Clérambault, anche di altri alienisti della seconda metà dell’ottocento riguardo, per es., il grande capitolo delle pseudo allucinazioni, su cui, tra l’altro, è stato recentemente tradotto in francese un ricco e articolato testo di Kandinsky (“Sur les pseudo-hallucinations”- Ed. L’Harmattan- 2013) e di cui si aveva un accurato esame già negli scritti di Baillarger.

Vorrei ricordare brevemente come, al di là della definizione classica delle allucinazioni, in quanto percezioni senza oggetto, ossia “senza gli stimoli che normalmente provocano la percezione” (Manuale di psichiatria H EY), che sarà ridefinita da Lacan come fenomeno di linguaggio e quindi non riconducibile ad un sensorium né ad un percipiens, venivano anche identificate delle “allucinazioni psichiche o pseudo-allucinazioni”, in cui “l’attività allucinatoria può essere vissuta dall’allucinato nella sua immaginazione o nel suo pensiero” (ibidem), tanto che “molti malati non riferivano al mondo esterno le loro allucinazioni, ma le provavano come fenomeni psichici strani od estranei”(ibidem). Proprio su questi casi caratterizzati da “obiettività psichica”, ma in cui manca “un ‘obiettività spaziale”ed in cui quindi mancano i caratteri di “sensorialità” dell’allucinazione classica, Baillarger aveva fondato la sua nuova classe di “pseudo allucinazioni”. Quest’ultime inoltre si manifestavano prevalentemente come immagini o rappresentazioni piuttosto che percezioni ed erano distinte in visive (“immagini mentali involontarie, a volte come una specie di fantasticheria”, che “danno all’allucinato l’impressione di vivere scene immaginarie, ricordi, visioni interiori, ecc.”(ibidem) ed in acustico-verbali. In questo secondo caso si trattava di “voci interne, mormorii intrapsichici, eco del pensiero, trasmissione del pensiero, ecc. (che ci inducono ad un facile collegamento con l’automatismo mentale descritto da de Clérambault, tanto che lo stesso Kandinsky è ricordato per una sindrome che porta il nome di entrambi gli autori). Rimangono infine descritte le allucinazioni psicomotorie verbali di Séglas, ossia “allucinazioni che si formano nella parola stessa dell’allucinato, sia che sorgano dall’articolazione stessa della parola, sia che accompagnino la formulazione delle parole mentre si formano nel pensiero”. Queste ultime sono state citate anche da Melman nel suo seminario sulla nevrosi ossessiva, proprio a proposito della natura di alcune allucinazioni o presunte tali (lez. 10 marzo 1989- pag. 149-150).

Vorrei ora aggiungere ancora una notazione sul lavoro di Kandinsky che, a differenza di quello di de Clèrambault, che pare più orientato sull’analisi di fenomeni uditivi (anche perché più frequenti e patognomonici nella psicosi) si è invece incentrato nella sua lunga e articolata digressione più specificamente su quelli visivi, distinguendo, come poi farà anche Freud, per altri versi, “le produzioni dell’attività ordinaria dell’immaginazione dalle pseudo allucinazioni… anche se dei passaggi dall’una all’altra sono sempre possibili” (pag.144- “Sur les pseudo-hallucinations”).

In questo suo scritto, che meriterebbe un lavoro a parte anche solo a proposito di alcuni dei temi proposti, potremmo vedere una possibilità di conciliare o tentare di confrontare altri tipi di esperienze di cui Lacan stesso farà un breve accenno, sempre in relazione all’Uomo del lupi, citando alcuni fenomeni come quello del déja- vu, definito come “ambiguo” e collocato tra “il conosciuto e il visto” (sem. lez 10 feb. –pag.119) : ”qualche cosa che è nel mondo esterno..pensabile nei termini di un discorso integrato come quello della vita quotidiana, per un qualche tipo di ragione si trova condotto quanto meno ad un livello limite, o per lo meno riconosciuto come essere al limite di ciò che emerge con una specie di significazione speciale e ricondotto con l’illusione retrospettiva, nel dominio del deja-vu”. Questo gli permette di riagganciarsi al tema dell’”immaginario” in quanto tale, come modello della forma originaria cui sarà dedicata una gran parte del suo lavoro in questo stesso seminario.

Forse un’ulteriore ricerca in tal senso potrebbe aiutarci a collocare meglio sul piano clinico quanto descritto da Freud e ripreso da Lacan in questo stesso testo in cui l’autore sembra interessato al collegamento anche con alcuni fenomeni che potremmo chiamare “di bordo” o “di confine”, per quanto nel complesso appaia più orientato ad introdurre le questioni sulla Verwerfung che già Freud aveva aperto proprio a partire dall’Uomo dei Lupi.

Sul termine “allucinazione” Lacan ritornerà ancora nel corso del seminario. Per es. ne troviamo traccia a pag192, (lez. 10 marzo 54) in cui affronta una questione relativa ad un caso di “delirio allucinatorio” in un bambino, che pone diversi problemi rispetto alla sua assimilazione ad una schizofrenia nell’adulto. A questo riguardo sottolinea come “tutto il problema della psicosi consista in una sintesi tra immaginario e reale” e ribadisce che nell’allucinazione c’è “qualcosa che il paz. assume effettivamente come reale”. Ma qui siamo già nell’ambito di una clinica più definita, almeno in termini strutturali, per quanto l’età infantile ne caratterizzi una diversa problematicità.

Riguardo ancora il campo delle psicosi ritroviamo poi una certa insistenza di Lacan sulla differenziazione tra immaginario e irreale, sottolineando come la struttura propria di uno psicotico si situa “in un irreale simbolico o in un simbolico marcato d’irreale”, mentre “ la struttura dell’immaginario sarà qualcosa che sta da tutt’altra parte” (pag. 215- lez. 17 marzo1954). Tutto questo lo distingue dal nevrotico, che invece può far ricorso alla fantasia nel momento in cui vi è misconoscimento o rifiuto della realtà, così come ne parla Freud. In questa differenziazione Lacan ci invita anche a cogliere le differenze tra Freud e Jung, aprendoci comunque ad altre riflessioni proprio rispetto al rapporto con il tema della fantasia e dell’immaginazione. Che dire, per es., a tale proposito, sul tema dei deliri di immaginazione descritti da Dupré, al di là della diagnosi strutturale che li caratterizza in quanto propri di un processo psicotico ? Potremmo forse ridefinirli anche in altro modo riguardo queste specifiche caratteristiche “immaginative”?

Ancora una citazione dell’Uomo dei lupi, quale troviamo nella lez.del 7 aprile 1954 (pag.289-290) ci porta invece un’ulteriore riflessione sul tema della rimozione, in quanto la “Verdrangung (ossia la rimozione) è sempre una Nachdrangung” (ossia una rimozione secondaria o après -coup). Per spiegare allora il ritorno del rimosso Lacan ci indica un solo modo, per quanto paradossale, ossia che questo “non viene dal passato ma dal futuro”, un po’ come vediamo nel sintomo. Si tratta di “ qualcosa che si presenta all’inizio come una traccia e che sarà sempre tale, restando incompresa fino a quando l’analisi non sia andata molto lontano, fino al punto che anche noi ne abbiamo realizzato il senso….il ritorno del rimosso è quindi il segnale cancellato di qualcosa che potrà assumere la sua realizzazione simbolica, il suo valore storico, la sua integrazione nel soggetto solo nel futuro”.

Sempre sull’Uomo dei lupi (lez. 19 maggio 1954) Lacan si esprime in forma ancora diversa parlando di “nevrosi di carattere o nevrosi narcisistica” (pag.334) , definizione in cui assistiamo ad un’ulteriore sottolineatura da parte sua dell’ambiguità diagnostica cui il caso si presta. Qui il discorso è orientato ad approfondire alcuni aspetti dello stesso procedimento analitico, aggiungendo che come tale il paziente offre una grande resistenza al trattamento e ne sottolinea gli aspetti fondanti della teoria di Freud sulla rimozione, lasciando quindi da parte le considerazioni precedenti sulla forclusione.

Nel prosieguio delle lezioni i temi toccati sono quindi molteplici, ma in particolare al termine del seminario (lez. 7 luglio 1954) viene di nuovo citato L’uomo del lupi, in cui questa volta viene ricordata la questione del transfert, in particolare relativamente al “tempo-per-comprendere”, sottolineando come “il transfert sia il concetto stesso dell’analisi, perché è il tempo dell’analisi”.

Di nuovo troviamo quindi questo caso come riferimento per un ulteriore lavoro di ricerca nello studio del processo analitico.

Già nel seminario del 52-53 l’Uomo dei lupi aveva offerto a Lacan l’opportunità di riprendere i tre momenti da lui indicati anche nel seminario sul “tempo logico” (lì riferiti al sofisma da lui citato- Scritti- 1945, pag.198 ed it.). Qui lo spunto gli deriva dall’andamento stesso del processo analitico (pag. 252-253) : “Per diversi anni l’uomo dei lupi parla, ma non dà nessun apporto” (alla sua analisi). “Si guarda soltanto allo specchio: lo specchio è il suo ascoltatore, ossia in questo caso Freud. Il linguaggio non è soltanto un mezzo di comunicazione; quando un soggetto parla, una parte di ciò che dice ha funzione di rivelazione per un altro. Il progresso di un’analisi si giudica quando si sa in quale momento il “voi” equilibra l’io (je) di cui si tratta. Nell’analisi dell’uomo dei lupi l’accento resta troppo a lungo sull’io (moi) e su un io incontestabile” (precedentemente Lacan aveva detto che si trattava di un Io “forte”, come quello di tutti i nevrotici). “E’ allora che Freud fa intervenire un elemento di pressione temporale, e a partire da quel momento preciso l’analisi si mette in moto : l’uomo dei lupi assume la sua analisi in prima persona : è Je che parla e non più il Moi.

A questo punto Lacan ci ricorda i tre momenti, qui descritti come :

1°)tappa : evidenza afferrabile nell’istante dello sguardo

2°) tappa : quella del problema: lavoro di riflessione del working through

3) tappa :il momento di concludere : elemento di fretta e d’urgenza proprio di tutti i tipi di scelta e di impegno.

Aggiunge infine che questo caso “ci permette di porre delle questioni e di apportare dei chiarimenti sulla questione del transfert”, dato che proprio la sua storia analitica viene presentata da Lacan (citando anche Freud, a questo riguardo), come un percorso in cui il transfert rappresenta uno dei principali fili conduttori, riflettendosi anche nelle sue manifestazioni psicopatologiche (v. per es.,pag.528- Annexe II , in cui a partire dal delirio di persecuzione del paziente, in seguito ad un’interpretazione della Brunswick, fa la sua comparsa un delirio di grandezza). Anche questo tema, in qualche modo, ci apre la strada ad un aspetto che nel seminario sugli scritti tecnici non viene ancora toccato, come avverrà invece in seguito in quello sulle psicosi, ossia la questione dello scatenamento nelle psicosi stesse, di grande interesse per la nostra pratica clinica.

Mi sembra che in queste conclusioni, si possano comunque trovare in qualche modo diverse premesse riguardo il lavoro che Lacan svilupperà nel corso di tutto il suo insegnamento, compreso quello in studio quest’anno sul “Le moment de conclure” , ma penso che il discorso ci porterebbe molto lontano, lasciandoci ancora aperti ulteriori spazi di riflessione e di ricerca.